Alla Fondazione Gualandi presentazione del libro “A basso volume”

Lunedì 9 ottobre alle ore 17.45 al Cinema della Fondazione Gualandi in via Nosadella 51/B a Bologna vi sarà la presentazione del libro “A BASSO VOLUME: la tecnologia accessibile alle persone sorde e ipoacusiche dalla pandemia in poi”.
Interverranno all’incontro Andrea Mangiatordi dell’università Bicocca di Milano, Martina Gerosa, disability manager, Nicola Rabbi del Centro Documentazione Handicap di Bologna.
L’accessibilità dell’incontro sarà garantita da un servizio di interpretariato in Lis grazie all’ENS Emilia Romagna e alla sottotitolazione del parlato fornito da FIADDA Emilia Romagna.
Al termine della presentazione vi sarà una dimostrazione delle tecnologie per comunicare.

Di cosa parla il libro
La comunicazione per le persone con difficoltà uditive, tra nuove tecnologie ed esigenze individuali, è il tema del settimo volume della collana “I libri di accaParlante”, pubblicata da edizioni la meridiana in collaborazione con il Centro Documentazione Handicap di Bologna e dedicata all’accessibilità.

In “A basso volume. La tecnologia accessibile alle persone sorde e ipoacusiche dalla pandemia in poi”, l’urbanista Martina Gerosa, la psicologa Isabella Ippoliti, il ricercatore Andrea Mangiatordi e il giornalista Nicola Rabbi partono dalle barriere che si sono aggiunte nella fase pandemica a quelle “consuete” per chi ha una disabilità uditiva, per esplorare le diverse possibilità consentite dalle attuali tecnologie per una comunicazione in presenza e a distanza. Accessibilità e inclusione devono però tener conto dell’aspetto umano, emotivo e comunitario, per venire incontro ai bisogni differenti di un “arcipelago della sordità” composto da persone uniche e diverse.

Gholam Najafi è diventato un cittadino italiano

Gholam Najafi è l‘autore de “Il mio Afghanistan”, libro dove racconta la sua esperienza di rifugiato in Italia. Grazie alla sua sensibilità e alle edizioni la meridiana questo testo è stato tradotto da noi in simboli e poi pubblicato. Un testo che è girato molto nelle scuole e nei convegni. Il 19 settembre Gholam è diventato un cittadino italiano, una buona notizia in un momento in cui le notizie che riguardano i migranti sono per lo più brutte.

di Elvira Zaccagnino (*)

Ci sono giorni speciali. E ieri è stato un giorno speciale anche per noi.
𝐈𝐞𝐫𝐢 𝐆𝐡𝐨𝐥𝐚𝐦 𝐍𝐚𝐣𝐚𝐟𝐢 𝐡𝐚 𝐠𝐢𝐮𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐨𝐬𝐭𝐢𝐭𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐠𝐥𝐢 𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚𝐝𝐢𝐧𝐨 𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨.
Ci sono voluti 17 anni perché questo accadesse.
17 anni fatti più di 𝘴𝘵𝘰𝘱 che 𝘢𝘯𝘥 𝘨𝘰, di ritardi legati a una burocrazia (la nostra) che prova ad esasperare con leggi e divieti il riconoscimento della cittadinanza anche di fronte al dato di fatto che la famiglia di origine di Gholam era praticamente scomparsa in un villaggio raso al suolo, che del suo atto di nascita non c’era possibilità di recupero perché l’anagrafe nel suo villaggio non era mai esistita, che il padre era stato ammazzato e quindi non poteva avanzare alcuna patria potestà.
Nel frattempo Gholam si è laureato e dottorato. Ha pubblicato 4 libri, uno dei quali ha voluto con noi che fosse anche edito in CAA, ha ricevuto premi, scritto articoli, partecipato a conferenze.
Ha girato l’Italia in lungo in largo, incontrato studenti di scuole di ogni ordine e grado. Parlato in aule universitarie.
Ha raccontato quel suo essere cittadino di due culture. Ha studiato la sua e la nostra cultura, ha scritto di entrambe e di quel 𝐬𝐮𝐨 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐭𝐫𝐚 che è la dimensione verso la quale ci porta il futuro e che facciamo fatica ad accettare noialtri.
𝐆𝐡𝐨𝐥𝐚𝐦 è 𝐚𝐫𝐫𝐢𝐯𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐧𝐚𝐥𝐟𝐚𝐛𝐞𝐭𝐚. 𝐒𝐚𝐩𝐞𝐯𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐩𝐚𝐬𝐭𝐨𝐫𝐞. 𝐎𝐫𝐚 è 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐞 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐚.
“Io ti conosco. Ho letto la tua storia e so quanto sei prezioso per noi” ha detto ieri l’Ufficiale che ha celebrato il rito.
𝐒𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐞𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐳𝐢𝐨𝐬𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐧𝐨𝐢.
Ieri a Lampedusa sono sbarcati centinaia e centinaia di migranti. Tantissimi sono minori non accompagnati.
𝐎𝐠𝐧𝐮𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨 è 𝐩𝐫𝐞𝐳𝐢𝐨𝐬𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐧𝐨𝐢.
Lo dice Gholam che ora è Italiano. Lo diciamo noi.
Non è una invasione. È l’umanità che si fa strada.

(*) direttrice delle edizioni la meridiana

La mia “non visita” ad Auschwitz

Ci sono luoghi nel mondo che ho sempre sentito come un dovere morale andare a visitare, o quantomeno commemorare.
Da tantissimi anni volevo recarmi ad Auschwitz, ma non sapevo mai come fare. Andare fino a Cracovia (la città più vicina) in aereo poteva essere semplice, ma poi non avrei trovato pullman accessibili per andare verso Oświęcim, che sta a un’ora abbondante da Cracovia. Andare a Cracovia in auto, per avere poi l’auto per spostarsi verso Auschwitz era la scelta migliore, ma per andare a Cracovia con la propria auto dall’Italia sono due giorni di viaggio, che diventano quattro tra andare e tornare (ricordo ai più che in Europa non trovo auto a noleggio con adattamenti al volante per disabili). Quindi bisognava prevedere un viaggio un po’ lungo, più un’intera giornata per Auschwitz.
Nel sito internet ufficiale del Museo Statale di Auschwitz era anche segnato che noleggiavano una carrozzina perché il campo (che poi sono due, uno è Birkenau, detto Auschwitz II, a qualche chilometro da Auschwitz I) era ovviamente immenso e per chi aveva difficoltà motorie erano distanze troppo grandi. Solo che io, abituata a farmi dei megaviaggi da sola, nemmeno con una carrozzina a noleggio sarei riuscita a spingermi, causa malattia muscolare dalla nascita. Quindi: per visitare Auschwitz avrei comunque avuto bisogno di qualche amico/a con me, di una carrozzina, di un’auto e di parecchi giorni a disposizione.
Questo 2023 è stato finalmente l’anno giusto. Ora possiedo già una mia carrozzina senza bisogno di noleggiarla, per svariate vicende di salute del 2022… Non posso, almeno per ora, rimettermi in viaggio da sola, quindi avevo programmato un viaggio verso Cracovia con un’amica e ovviamente con la mia auto. Avevamo pertanto tutto il necessario – da casa – e ho ricontrollato il sito ufficiale del Museo Statale di Auschwitz.
Ci tengo molto alla parola “Museo”, perché mentre Birkenau è ancora quello che era, Auschwitz è stato volutamente trasformato in museo e ormai – nel 2023 – tutti i Musei Statali del mondo sono accessibili alle persone con disabilità; insomma è proprio un’eccezione trovare un museo non accessibile.

Leggo nel sito che chi ha una difficoltà motoria «potrebbe comunque incontrare delle difficoltà», potrebbe, altra parola cui tengo molto. Spiegano nel sito che hanno scelto di non adattare un luogo come Auschwitz, per mantenere l’originalità del posto.
Lì per lì concordo con la loro scelta; insomma, chiariamoci: non mi aspetto che tutto il mondo diventi accessibile ai disabili, so che ci sono dei luoghi che non si possono modificare, non mi aspettavo certo che ad Auschwitz sarei ad esempio riuscita ad entrare nei dormitori, o nei bagni, o nelle prigioni. Insomma, si mette in conto che non tutto sarà visitabile. Per altro ero già stata in visita a un campo di concentramento, la Risiera di San Sabba a Trieste, dove nel relativo sito era segnato che in quasi tutte le stanze era stata messa una rampa tranne che in due. Tra l’altro la Risiera di San Sabba fu un’esperienza davvero toccante, il campo è minuscolo rispetto ad Auschwitz, ma ti fa entrare veramente in empatia con quello che è successo. Anzi, non capisco perché non ci vadano tutte le scuole d’Italia in gita, ma vabbè.

Tornando al sito di Auschwitz, vi era scritto che si potevano forse incontrare delle difficoltà nei vialetti e in «qualche blocco» dove c’erano «alcuni gradini». Se mi dici «qualche» significa non in tutti. Se mi dici che ogni tanto potresti incontrare dei gradini, ma non mi parli di vere e proprie scale, io penso che tutto sommato qualche gradino con una carrozzina manuale si riesca anche a fare. Inoltre era segnato che era obbligatorio prenotare, sia per la visita guidata sia per l’entrata in solitaria. La visita guidata costava 20 euro per la persona “normodotata” e 18 euro per il disabile, quindi – di solito – quando lo scarto economico è così esiguo, significa che la persona con disabilità può fare quasi tutto. La visita individuale invece era gratuita, però facevano entrare solo dopo le 17, ed entrambi i campi chiudono alle 19, e tra un campo e l’altro bisogna spostarsi in auto o con le navette; quindi, insomma, meno di due ore a disposizione per campi enormi erano veramente poche. Scegliamo perciò la visita guidata.
I gruppi, nelle varie lingue, dovevano partire ogni quarto d’ora. Ad esempio: alle 14 partiva il gruppo in inglese, alle 14.15 quello in francese, alle 14.30 quello in polacco e così via, apparentemente, quindi, con un senso logico, in modo che i gruppi stessi non si trovassero insieme negli stessi luoghi negli stessi minuti. Il gruppo italiano era già pieno, decidiamo quindi di prenotare quello francese in modo che io potessi seguire e poi tradurre per la mia amica, ed eventualmente comunicare con la guida per tutte le eventuali esigenze con la carrozzina.
Pago tutto online e mi arrivano sulla mail i biglietti da scansionare all’ingresso, dove mi dicono che faranno anche il controllo dei documenti perché il nome sui biglietti non può essere più cambiato con un’altra persona. Comunicano anche la grandezza delle borse ammesse, tipo Ryanair (se non hai la borsa della dimensione giusta, ci sono i loro armadietti a pagamento).

Arriviamo ad Auschwitz con sentimenti che non sapevamo descrivere, eravamo preoccupate di uscire dalla visita completamente afflitte. In realtà, ci aspettavamo anche di uscire con afflizione, depressione, tristezza, ansia per quello che era successo in quei luoghi. Insomma, è inutile negarlo: Auschwitz ha su di sé anche tutta una simbologia, e le aspettative emotive sono alte.
Arriviamo e vedo i posti per i disabili, ma mi fermano e mi dicono che si paga. Spiego che sono una persona con disabilità e che mi muovo in carrozzina, ma dicono «ok i posti son quelli ma si paga». Vabbè paghiamo il parcheggio. Chiariamoci, non è per i soldi, è che quello – eravamo ancora inconsapevoli – era solo il primo indizio del fatto che Auschwitz è oggi trattato da chi lo gestisce come una “macchina da soldi”, punto e basta. Ma ancora non avevamo capito.
Arriviamo all’ingresso e mi accorgo che c’era una quantità letteralmente disumana di gente che non aveva prenotato, ma che stava facendo il biglietto. Quindi poteva entrare anche senza prenotazione, mentre nel sito era scritto di no. Erano le due del pomeriggio, ma pur di farli pagare non hanno detto alla massa disumana «tornate alle 17 che apriamo ai singoli». No, hanno detto loro: «Potete entrare anche ora, pagando». Il problema è che i gruppi erano già pieni, ma cosa hanno fatto? Hanno aggiunto altri gruppi in tutte le lingue che non erano previsti nel sito.
Passiamo i controlli di sicurezza, che neanche in aeroporto a Sydney sono così severi, e mi appare un tabellone dove è segnato che alle 14.15 – nostro orario con il gruppo francese – partono ben sette gruppi in contemporanea di tutte le lingue, compreso un gruppo in italiano che nel sito non c’era. Comincio a dire con la mia amica che c’è qualcosa che non va, perché in nessun museo del mondo i gruppi partono insieme. Soprattutto non sette gruppi di una ventina di persone ognuno!
Arriva la guida francese, che poi scopriamo essere polacca, come anche le altre guide: sono semplicemente polacchi che sanno bene una delle lingue europee e questo lo sottolineo perché poi la spiegazione in italiano viene fatta con cadenza polacca, quindi senza nessun pathos per come siamo abituati noi, ma pazienza. La guida in francese mi chiede subito se posso alzarmi in piedi e fare delle scale… Le dico «scusi come scale, quante scale??? Nel sito si parla di gradini… e qualche gradino eventualmente si riesce a fare se mi date una mano». Lei mi dice «no no, se non fai le scale son problemi seri», al che si insospettisce e mi chiede che lingua parliamo; le spiego che in realtà siamo italiane, che la mia amica non parla francese, ma che nel sito il gruppo italiano era già pieno. Lei mi dice «vado a chiedere al gruppo italiano che parte ora se vi prende», poi torna a dire che ci prende e noi sinceramente eravamo tutte contente. Ma inizia il delirio. Perché i gruppi stanno partendo, bisogna oltrepassare un tornello dove la carrozzina non passa e riscannerizzare il biglietto al tornello, ma poi io devo tornare indietro perché l’ascensore (la visita parte dal piano interrato) sta da un’altra parte, ma per aprire l’ascensore bisogna prima chiamare qualcuno che abbia le chiavi. Tutto questo in tre secondi mentre sette gruppi stanno partendo. Sorvolo sull’ansia e la fatica, ma ci ricongiungiamo col gruppo italiano.
Arriviamo al famoso cancello, quello con la famigerata scritta Arbeit Macht Frei, “il lavoro rende liberi”, ma ci dicono che non possiamo fermarci perché arrivano gli altri gruppi. Improvvisamente, dopo il cancello, scopriamo che il terreno di Auschwitz I è totalmente impraticabile con una carrozzina. Cominciamo ad incagliarci con le ruote dappertutto, ci viene il panico, perdiamo il gruppo, veniamo inglobate da quello polacco, io comincio a dire con la mia amica «senti, ormai ci hanno fatte entrare, continuiamo la visita da sole e facciamo quello che riusciamo, altrimenti torniamo indietro, oppure io ti aspetto qui dal famoso cancello che non abbiamo praticamente né visto né vissuto emotivamente e tu ti fai un giro da sola senza di me». La mia amica mi fa giustamente notare che dobbiamo trovare l’uscita di un campo gigante e siamo senza mappa avendo prenotato una visita guidata.
Ritroviamo il gruppo con fatica e panico, ma più passa il tempo più scopriamo che tutti i blocchi di Auschwitz visitabili quel giorno (non so se in alcune visite cambia qualcosa durante i mesi dell’anno) hanno tanti gradini per entraresenza appoggi, e poi due o tre piani di scale all’interno, con scale stretteripide e gradini consumati. Scopro già dal primo blocco, dove vengo “parcheggiata fuori”, che quando il gruppo entra nel blocco io non sento più la spiegazione nelle cuffiette che ci avevano dato. Quindi non solo non sono riuscita ad entrare da nessuna parte, ma non ho neppure sentito la spiegazione. Tutto questo ovviamente per 18 euro più parcheggio, che non è per i soldi, sia ben chiaro. Bastava però essere onesti nel sito fin da subito: «Qua le persone in carrozzina non ci possono venire». Punto. Va bene. Organizzavamo quella giornata in un altro modo. Bastava dircelo.

Ma la cosa più triste di tutte, quella che mi ha veramente depressa, è che anche le teche da museo, quelle con dentro ad esempio le scarpe, o le valigie, o gli occhiali da vista che venivano tolti alla povera gente che entrava lì, erano agli svariati piani dei blocchi.
Ripeto: mi aspettavo di non potere entrare dove dormivano, ma gli oggetti puoi anche posizionarli in un luogo accessibile, in fin dei conti lo dici tu che Auschwitz l’hai trasformato in un museo, gli oggetti da museo almeno fammeli vedere. Anche per i “normodotati”, però, la faccenda è stata molto ma molto complessa e molto ma molto deludente. Perché sette gruppi in spazi stretti sono un incubo per chiunque. Nessuno ha visto nulla, sentito nulla, potuto pensare a nulla. Era tutto un urlare delle guide «state di qua, state di là, spostatevi che devono passare gli altri».
Nel nostro gruppo una ragazza dentro un blocco è svenuta perché era una giornata molto calda e c’era troppa gente. La nostra guida ha intimato di uscire perché dovevano passare gli altri gruppi, ha quasi aggredito i genitori dicendo che per loro la visita finiva lì, ha mandato il padre da solo a cercare l’uscita perché bisognava restituire quelle maledette cuffiette, mentre la madre aspettava l’ambulanza con la figlia svenuta per terra e circondata da guardie polacche. Perché poi la guida italiana doveva proseguire il tour, mica stare con la poveraccia ad aiutare nella traduzione. Con il padre che vagava sperduto da solo e senza mappa. A un certo punto del percorso, uno del nostro gruppo ha avuto pietà di me e della mia amica e ci ha dato una mano a spingere la carrozzina, era un uomo alto e forzuto, ma faceva fatica anche lui e la carrozzina continuava a incastrarsi ovunque.

A un certo punto mi accorgo però che la ruota davanti sta cedendo e si sta rompendo: di nuovo il puro panico. Sì, perché mentre per la “gente comune” la carrozzina è un ausilio di costrizione («quello lì è costretto a vivere su una carrozzina») per chi è disabile la carrozzina è un grandissimo ausilio di libertà. Come sarei tornata all’auto e in stanza in hotel senza una carrozzina? Come avremmo potuto continuare il viaggio e visitare Cracovia? Sinceramente la mia preoccupazione cresceva, e poi mi dispiaceva anche per questo signore che per aiutare me rimaneva indietro.
La carrozzina, in questa nuova vita che ho, è il bene più prezioso che io abbia. Che poi, ora che siamo riuscite ad uscire da Auschwitz I, ci siamo confrontate, abbiamo riguardato le misere foto che siamo riuscite a fare senza il tempo necessario, ci siamo rese conto che forse alcune cose potevano anche essere leggermente visitabili, magari facendo entrare la persona con disabilità dall’uscita del blocco anziché dall’entrata, ma tutto questo con la folla e quella modalità “nazista” di fare (sì, lo dico, è politicamente scorretto, lo so) non è stato possibile. Poi meno male che abbiamo fatto il tour in italiano, almeno la mia amica ha sentito qualcosa, perché io da fuori non sentivo nulla e non avrei nemmeno potuto tradurle dal francese.

Poi la visita ad Auschwitz I finisce, con somma gioia di tutti i partecipanti. La guida però ci aspettava alle navette, per andare a Birkenau, Auschwitz II. Le abbiamo detto che per noi finiva lì. Lei ha detto «Dovete restituire le cuffiette!». Con calma siamo tornate alla macchina, ci siamo spostate a Birkenau in auto, dove non si paga il parcheggio, all’ingresso non ti chiedono il biglietto, non ci sono controlli, si entra e basta.
Birkenau è bellissimo. Lo so, è tremendo dire che un campo di concentramento dove si sono compiuti gli orrori della storia è bellissimo. Ma a Birkenau si respira, il luogo è talmente vasto che i gruppi si disperdono. A Birkenau i viali di accesso si riescono a fare anche con la carrozzina, per quanto siano quelli originali e non li abbiano modificati. Abbiamo incontrato tante persone di gruppi di altre lingue che si erano spostati a Birkenau da soli, mandando a quel paese la visita guidata. Abbiamo incontrato anche il signore che ci ha aiutate, ma lui era ancora intenzionato a seguire il gruppo solo che – nonostante fosse in forma e normodotato – aveva perso la nostra guida. Guida che in effetti dentro Birkenau non abbiamo mai visto, chissà che fine avrà fatto, sarà andata via perché con noi continuava a dire che aveva un gran caldo.

Qualche consiglio spassionato
Persone con disabilità: rinunciate, state a casa! A meno che non siate dotati di carri armati e di robusti e numerosi accompagnatori, non potrete mai fare i vialetti di Auschwitz I, e se anche li farete, non entrerete da nessuna parte. Oppure andate direttamente a Birkenau, in fin dei conti la classica foto “da film” si fa lì.
“Normodotati”: prenotate il tour individuale dopo le 17. Avrete poco tempo ma tutto sommato meglio del tempo che abbiamo avuto noi. Dalle 17, poi, spariscono i gruppi, quindi ci sarà tanta gente ma non così. Anzi, visto che a Birkenau non ci sono controlli, prima delle 17 andate lì, poi andate ad Auschwitz I, due ore vi basteranno e forse riuscirete a provare quello che a noi è mancato.
Nota bene: per “normodotati” intendo persone con corpi performanti, perché già persone ad esempio obese o camminanti con un bastone avranno serissime difficoltà.
Nota bene ancora: l’unica cosa che mi “consola” della mia non visita ad Auschwitz I, è che non ci sarei mai riuscita nemmeno nella mia vita precedente.

Ma Auschwitz dovrebbe essere adattato?
Prima di vederlo (o non vederlo) di persona pensavo di no. E ancora oggi una parte di me pensa di no. Cioè io la comprendo la voglia di mantenere un luogo del genere uguale uguale a com’era. Ma poi più passa il tempo e più mi vengono in mente delle soluzioni non invasive del paesaggio o delle strutture, certo non per fare piani di scale, ma almeno per fare i gradini di ingresso ai singoli blocchi.
Perché si dovrebbe privare una persona con disabilità di fruire di un luogo della storia così denso di significati? Le persone con disabilità, in quel periodo di storia in cui Auschwitz era attivo, neanche ci arrivavano ad Auschwitz. Venivano eliminate prima. Perché dovremmo “eliminarle” di nuovo?

Per chi poi se lo stesse chiedendo, la ruota della carrozzina ha retto per tutto il viaggio, peggiorando di giorno in giorno, per rompersi definitivamente a Bologna appena tornate.

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Il montacarichi di Luca Pieri

d‍i Nicola Rabbi

Ho conosciuto Luca durante il servizio civile che ho svolto all’Aias e poi l’ho frequentato durante i primi anni di lavoro al Centro Documentazione Handicap di Bologna. Di lui conosco solo quel pezzetto di vita che va dalla fine degli anni ‘80 agli inizi degli anni ‘90, ed è da questa finestra di tempo che vorrei parlare di Luca.

Come obiettore di coscienza tra i miei compiti c’era anche quello di autista e in un giorno di primavera (era il 1987?) dovevo accompagnare Luca nelle campagne intorno a Firenze per un convegno organizzato da Medicina Democratica. Non era facile farlo salire e scendere dalla sua macchina nonostante il papà – l’ingegner Pieri – fosse proprio un esperto in adattamenti auto. Ma questa difficoltà proveniva dal corpo di Luca: che dire del suo corpo, era grande, esprimeva forza ma soprattutto era un corpo indomabile, imprevedibile, mosso da intenzioni varie e contrastanti che dipendevano solo in parte da lui. Questo voleva dire, ogni volta che viaggiavi, ingaggiare una lotta con il suo corpo, spalleggiati dai consigli che Luca dava ai suoi operatori.
Quel giorno al ritorno ci siamo persi. Io continuavo a girare per delle stradine strette tra due muri a secco che si diramavano, si incrociavano e formavano un vero labirinto. Non trovavo un modo per uscirne. Ogni tanto Luca mi diceva qualcosa da dietro ma, quando guidavo, non riuscivo a sentire la sua voce e a capirlo. A un certo punto ho infilato una stradina che terminava di fronte a un altro muro a secco. C’era silenzio, si sentiva solo il rumore degli uccelli e la luce di un sole tiepido di primavera rendeva il paesaggio delizioso e allegra la situazione, nonostante ci trovassimo di fronte a un muro. Lì, fermi in macchina, abbiamo sorriso.

Claudio, Andrea, Stefano, i “vecchi nuovi disabili” assieme ad Andrea al funerale di Luca

Luca, come altri che ho conosciuto in quel periodo, apparteneva a un tipo di persona disabile nuovo, che ancora non esisteva in Italia. Erano persone con disabilità fisica ma con un intelletto di pregio, anche se questo non sarebbe bastato a farli diventare quello che erano, persone nuove che volevano avere una vita come tutti gli altri e cioè volevano studiare, lavorare, sposarsi e avere figli. Quella cosa in più che li ha fatti diventare così, era un famiglia alle loro spalle, una madre, un padre, a volte tutti e due assieme, che avevano interrotto la tradizione di mandare i propri figli disabili in istituto o di segregarli in casa, no questo non l’avevano fatto e, a un prezzo altissimo, avevano percorso altre strade. Spesso queste strade poi li portavano ad associarsi ad altre famiglie.
Il frutto di tutto questo percorso erano loro: Luca, Claudio, Andrea, Stefano… i disabili nuovi che hanno studiato, lavorato, hanno avuto una compagna e dei figli. Raramente queste cose sono capitate tutte assieme, qualcosa non aveva funzionato, qualche obiettivo non era stato raggiunto, diciamo che Luca era fra quelli che ci era andato più vicino ad avere tutto.
Per motivi di lavoro oggi seguo alcuni influencer disabili sui social come Facebook e Instagram. Le loro modalità di espressione, i mezzi che usano, la diffusione dei loro messaggi, sono molto diversi rispetto a quelli degli anni in cui Luca si era formato e aveva cominciato a proporre un’immagine nuova della disabilità, anzi della diversità, come si dice oggi, ma vorrei sottolineare il fatto che gli influencer di oggi esistono anche grazie agli influencer predigitali come Luca, Andrea, Claudio, Stefano… che promuovevano con i mezzi di allora – le riviste e gli incontri personali, qualche rara apparizione in tv – una cultura diversa, dove i concetti di normalità e omogeneità venivano posti in discussione.

Un’altra volta, non chiedetemi il perché, era andato a casa sua a trovarlo, anni dopo, forse per un’intervista. Mi ha portato in giro per le stanze del suo appartamento per farmi vedere come era accessoriato; nella camera da letto, Carla, sua moglie, mi ha mostrato un meccanismo abbastanza complesso che faceva coricare in modo automatico il corpo ribelle di Luca. I meccanismi, del resto, ci volevano proprio per superare tutte le barriere architettoniche che ogni giorno incontrava. Anni prima, quando abitava ancora con i genitori, a ogni ritorno lo dovevo infilare in un montacarichi che lo portava dal pianterreno al piano rialzato dove la sua famiglia abitava. Era un appartamento condominiale ma la sua casa aveva un piccolo giardino di proprietà e attraverso un vialetto si arrivava a questo montacarichi personale. La vita di Luca, come quella di tutte le persone disabili, era un continuo adattamento, una personalizzazione per poter vivere come gli altri.

La voce, la voce era come il corpo, usciva a getti, le parole schiacciate dal respiro e dalle contrazioni del volto. Non era facile capirlo se non si era un abituati a lui. Ho avuto modo di sperimentarlo in una esperienza che abbiamo fatto assieme. Nel 1991 lavoravo alla rivista Accaparlante e in redazione avevamo deciso di scrivere un’intera monografia sul tema del lavoro delle persone disabili in collaborazione con la Cgil di Bologna. L’occasione ci veniva data proprio dall’esperienza di borsa lavoro che Luca aveva fatto per due anni all’interno dell’organizzazione sindacale. Per due anni ha documentato la difficoltà che aveva una persona disabile a trovare e a mantenere il proprio posto di lavoro. Anche alla Cgil, durante quel periodo, non aveva trovato un luogo accogliente come lui aveva sperato. Mi dispiace aver poi saputo che quello del lavoro è sempre stato un problema per lui e che per tutta la vita, nonostante le sue capacità, non abbia trovato il suo posto.

Poi ci siamo persi di vista. Ogni tanto avevo notizie su di lui, la sua collaborazione con l’associazione Papa Giovanni XXIII, il suo impegno pacifista che lo aveva portato in Croazia subito dopo la guerra nell’ex Jugoslavia.
Se non ricordo la prima volta che l’ho incontrato da obiettore, ricordo però benissimo l’ultima volta. Ci siamo rivisti l’anno prima dell’inizio pandemia nella tradizionale manifestazione pacifista che si tiene a Bologna il primo gennaio. Una coperta o un tabarro copriva lui e in parte la sua carrozzina, aveva delle cannule infilate su per il naso, mi sembrava affaticato.
Bologna è piccola, anzi no Bologna è un città grande dove si fanno molte cose ma a volte diventa piccola. Da qualche anno una mia amica ha comprato una casa con un giardinetto. Una sera d’estate mentre cenavo all’aperto da lei mi sono avvicinato al giardino vicino e ho guardato al di là della rete. Ho visto quel montacarichi, il montacarichi di Luca. Avevo completamente scordato il nome della via ma quel particolare mi aveva permesso di riconoscere il luogo. Il montacarichi era oramai abbandonato, sbarrato, con i vetri impolverati, nessuno lo usava più. Ma era il montacarichi di Luca.

Vieni a fare il Servizio Civile al Centro Documentazione Handicap!

Sono 6 i posti disponibili al Centro Documentazione Handicap di Bologna per il nuovo bando di Servizio Civile Universale.

Il nostro progetto, dal titolo “Nessuno escluso: includere le persone con disabilità o in condizione di fragilità attraverso la cultura 2023”, permetterà ai volontari di entrare a fare parte di un gruppo misto composto da educatori e persone con disabilità, al fine di promuovere una cultura dell’inclusione e dell’accessibilità a 360 gradi.
Le attività riguarderanno animazioni sul tema della diversità in contesti differenti, incontri formativi all’interno delle scuole sul tema della disabilità, attività redazionali e promozionali (foto, video, volantini), tecniche di animazione rivolte a gruppi.
Possono fare domanda i giovani tra i 18 e i 28 anni (28+364 giorni). Il Servizio Civile durerà 12 mesi, con un impiego settimanale di 25 ore, per un assegno mensile di € 444,30.

Come fare domanda

Gli aspiranti volontari dovranno presentare la domanda di partecipazione esclusivamente attraverso la piattaforma Domande on Line (DOL) raggiungibile tramite PC, tablet e smartphone all’indirizzo https://domandaonline.serviziocivile.it.
Occorrerà indicare di volere partecipare al progetto “Nessuno escluso: includere le persone con disabilità o in condizione di fragilità attraverso la cultura 2023”.
Dato che il progetto è in collaborazione con l’associazione BandieraGialla, per essere selezionati per il Centro Documentazione Handicap occorre indicare anche il codice della sede del CDH, che è 140753.

Le domande di partecipazione devono essere presentate entro e non oltre le ore 14.00 di venerdì 10 febbraio 2023.

Per accedere ai servizi di compilazione e presentazione domanda sulla piattaforma DOL occorre essere riconosciuto dal sistema, che può avvenire in due modalità:

– i cittadini italiani residenti in Italia o all’estero e i cittadini di Paesi extra Unione Europea regolarmente soggiornanti in Italia possono accedervi esclusivamente con SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale. Sul sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale https://agid.gov.it/it/piattaforme/spid sono disponibili tutte le informazioni su cosa è SPID, quali servizi offre e come si richiede.
– i cittadini appartenenti ad un Paese dell’Unione Europea diverso dall’Italia o a Svizzera, Islanda, Norvegia e Liechtenstein, che ancora non possono disporre dello SPID, e i cittadini di Paesi extra Unione Europea in attesa di rilascio di permesso di soggiorno, possono accedere ai servizi della piattaforma DOL previa richiesta di apposite credenziali al Dipartimento, secondo una procedura disponibile sulla home page della piattaforma stessa.

Per informazioni
Arci Servizio Civile
tel. 0516347197
bologna@ascmail.it

Ecco il sito di Storie accessibili

www.storieaccessibili.it : video letture accessibili, recensioni, eventi formativi, risorse sulla lettura accessibile e sui libri per tutte e per tutti: è questo che si propone di offrire il sito di Storie Accessibili. In parte con un lavoro di produzione proprio che vede la proposta di singole storie originali in diverse modalità come audio letture supportate dalle immagini, traduzione della storia in simboli CAA, testo riscritto scritto utilizzando la scrittura easy to read.
Altre storie, invece, sono accompagnate da video dove sono presenti anche degli interpreti della Lingua dei Segni. Tutto questo per mettere a un numero maggiore di persone di poter godere di una storia, al di là delle difficoltà di lettura “tradizionale” che possono essere presenti.
Nel sito si trovano anche le recensioni di libri accessibili e vengono segnalate le occasioni di formazione che si fanno on line o in qualche parte d’Italia.

 

Il sito www.storieaccessibili.it è una delle azioni previste dal progetto “Libri per tutti. Tutti per i libri” promosso dal Centro Documentazione Handicap Aps (CDH) di Bologna in collaborazione con Accaparlante Cooperativa Sociale e finanziato con il contributo del Cepell (Centro per il libro e la lettura)- bando “Lettura per tutti 2020”.
Al progetto aderiscono anche Area Onlus di Torino, associazione l’Abilità di Milano, edizioni la meridiana, casa editrice Sinnos.

La finalità generale del progetto è di rendere il più possibile concreto il diritto all’accesso alla lettura da parte di tutte e tutti, in particolare dei bambini, adolescenti, giovani adulti con disabilità ed esigenze specifiche.
La proposta progettuale vuole tenere insieme la dimensione dell’accessibilità cioè la fruibilità massima attraverso adattamenti, accomodamenti ragionevoli e tecnologie e la dimensione dell’inclusione in cui ogni strumento e ogni occasione deve favorire la partecipazione e la presenza di tutte le persone, con disabilità o meno.

Per altre informazioni
cdh@accaparlante.it

“Un posto anche per me. Biblioteche e accessibilità”: il nuovo libro del Centro Documentazione Handicap di Bologna a “Più Libri Più Liberi”

Venerdì 9 dicembre 2022 alle ore 11, all’interno della manifestazione “Più Libri Più Liberi” – la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria che si tiene al centro congressi La nuvola zona EUR a Roma – nello Stand P19 firmacopie di Annalisa Brunelli e Giovanna Di Pasquale, curatrici del libro “Un posto anche per me. Biblioteche e accessibilità”.
Il libro è l’ultima uscita della collana editoriale “I Libri di accaParlante” della casa editrice la meridiana, una serie di pubblicazioni che si occupano di accessibilità ai luoghi e agli spazi, alla comunicazione, alla conoscenza, alla cultura, al fare e saper fare, alla relazione con la diversità.
I libri sono curati del gruppo di lavoro del Centro Documentazione Handicap di Bologna che da molto tempo si dedica al tema in collaborazione con esperti di vari ambiti.

Scheda del libro
Oggi più che mai, per una biblioteca, il fatto di essere accessibile a tutti è un mandato valoriale prima ancora che un requisito tecnico o normativo e ha a che fare con la libertà, la democrazia e la parità dei diritti di tutti gli esseri umani. Una biblioteca, per essere realmente accessibile, deve essere “inclusiva”: deve cioè mettere in atto strategie volte a rendersi accessibile da un numero quanto più ampio possibile di persone.
Il libro e la lettura sono insostituibili occasioni di esperienza e crescita per tutti, al di là dei differenti modi di fruizione. Le pagine dei libri possono essere straordinari veicoli per superare solitudini e situazioni di fragilità. Rendere dunque i libri e la lettura accessibili e inclusivi significa entrare nell’ambito dei diritti di democrazia e partecipazione, per garantire a ciascuno il diritto alla cultura, alla lettura e all’informazione.
Da qui nasce il progetto del libro “Un posto anche per me. Biblioteche e accessibilità”, curato da Annalisa Brunelli e Giovanna Di Pasquale, che pone al centro gli spazi delle biblioteche. Non da intendere solo come luoghi fisici, ma come gli organismi viventi che le biblioteche oggi sono: poli di animazione culturale vicini al territorio, presidi di vita e socialità fondamentali per la costruzione di una comunità coesa.
Come fare in modo che le biblioteche siano accessibili, non solo nei loro spazi ma anche nei loro contenuti e pratiche? Le pagine di questo libro, che raccoglie i contributi di Giovanna Di Pasquale, Marco Muscogiuri, Fabio Venuda, Annalisa Brunelli e Massimiliano Rubbi, forniscono suggerimenti e indicazioni per rispondere a questa domanda: in questo percorso, l’accessibilità è una bussola in grado di guidarci e orientarci tra ostacoli, risorse e soluzioni.

Presentazione di “Io e il drago, Storia di Tommi raccontata da Tommi”

In occasione della giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità, le Cooperative Quadrifoglio e Or.s.a, con la collaborazione della Cooperativa Accaparlante, organizzano la presentazione del libro “Io e il drago. Storia di Tommi raccontata da Tommi” di Francesco Cannadoro, papà di Tommaso, blogger e autore. L’incontro avverrà sabato 3 dicembre 2022 alle ore 16.30 alla sala Alessandri in via Gorki 10 a Bologna (l’accesso  è dall’ U.R.P.)

Durante l’incontro Francesco Cannadoro dialogherà con Cristina Ceretti, consigliera comunale a Bologna con delega alla famiglia e disabilità. Modera Valeria Alpi, scrittrice della cooperativa sociale Accaparlante.
Per chi fosse interessato sarà anche possibile acquistare il libro.

Per iscrizioni
https://forms.gle/7Mji4tsk7mJRd8vW8


Scheda del libro

Dall’autore del blog Diario di un padre fortunato, un libro che è soprattutto una prova d’amore: il regalo di una voce al piccolo Tommi, per non lasciarlo mai solo.
Mi piace quando papà parla di me perché non comincia mai dalla disabilità. Lui mi conosce bene e sa che le cose che so fare dicono di me molto di più di quelle che non so fare. Nessuno è solo una cosa precisa, ma tutti quanti siamo un sacco di cose. Anche tu.

Tommi, che si affloscia come una buccia senza la banana dentro, sa molto bene di essere diverso dagli altri bambini. Al mondo, infatti, non siamo tutti uguali, o meglio lo siamo, ma solo un po’. Lui, per esempio, da qualche tempo non parla, non cammina, insomma non riesce a fare un sacco di cose… Tutto per colpa di un drago ostinato che lo ha preso di mira: una malattia che neanche i dottori più bravi hanno saputo spiegare. Ci mancava la scuola che sta per cominciare, a fargli salire un pizzico d’ansia: e se quel drago ingombrante, che non lo lascia mai solo, tenesse lontani i suoi compagni di classe, mettendolo all’angolo come uno zainetto dimenticato?

A combattere ogni giorno ci si stanca parecchio, ma per quanto tosta sia la sfida lanciata dal drago Tommi ha deciso che gli darà del filo da torcere e non ha nessuna intenzione di arrendersi. Neanche quando le cose sembrano mettersi male. Del resto, sa di poter contare sul costante sostegno di due formidabili scudieri: papà e mamma, sempre pronti ad aiutarlo a superare gli ostacoli, ma anche a condividere risate e momenti indimenticabili.

Momenti che Tommi vorrebbe raccontare pure a te, se vorrai essere suo amico, in questo suo diario fatto di giornate a volte complicate, a volte divertenti e spensierate, per mostrarti come si può vivere anche a braccetto con un drago, ma sempre provando a fargliela sotto al naso.

 

Un webinar su “I contesti inclusivi”

Giovedì 1° dicembre 2022 dalle ore 17 alle ore 18,30 si svolgerà un webinar su “I contesti inclusivi” promosso dai  servizi educativi del Comune di San Lazzaro di Savena (Bo). Per partecipare occorre iscriversi a questo indirizzo web .

Le persone che si iscriveranno potranno raggiungere il webinar attraverso questo invito: https://us06web.zoom.us/j/82484602857

QUI GLI INTERVENTI IN PROGRAMMA:

Il padlet come strumento di documentazione di percorsi educativi con bambini di disabilità, tra casa e scuola
Caterina Di Loreto, Coop Quadrifoglio, insegnante di potenziamento polo di infanzia comunale di via Poggi

I “silent book” come strumento di inclusione
Martina Gerosa, esperta di accessibilità e EPE (Esperta Per Esperienza) e Gabriella Marinaccio, coordinatrice dei servizi e delle attività per bambini e ragazzi del Sistema Bibliotecario di Milano

La sperimentazione di aula Snoezelen alla scuola di infanzia statale Canova
Zelinda Davolio insegnante IC1 san Lazzaro di Savena

 

Modera Matilde Rispoli, pedagogista Centro per le famiglie distrettuale Idice Savena.